" LA GEOGRAFIA NELLA SCUOLA: SAPERE GEOGRAFICO, TERRITORIO, EDUCAZIONE" 2011

di Giuseppe Dematteis

La geografia a scuola e fuori. L'idea che la geografìa possa far parte della formazione di base avrebbe stupito gli umanisti latini e rinascimentali a cominciare dal poeta Orazio, che scriveva: "caelum non animimi nnitant, qui trans mare cumini" (mutano i loro orizzonti, non l'animo loro, quelli che vanno per mare) o anche: "quodpetis, hic est" (quello che cerchi è già qui) e altre affermazioni tendenti a dimostrare come nulla di importante poteva derivare dalla commutatio loci, cioè dal viaggiare, cercare luoghi diversi e quindi conoscere com'è fatto il mondo. Quattro secoli dopo, per tutt'altre ragioni, S. Agostino usciva con il famoso noli foras ire, in te ipsum rede (non uscire fuori, ritorna in te stesso), per dire che la verità non andava cercata "nello spazio, ma con l'affetto dell'anima" {De vera religione, XXXIX, 72)

Ancora Nicolò Machiavelli, mentre si apriva l'epoca delle grandi scoperte geografiche, sosteneva essere più importante esplorare il modo di pensare e di agire degli esseri umani che non le terre lontane. Forse aveva ragione, ma intanto l'allargamento degli orizzonti geografici aveva portato ad accrescere il numero e il potere di una borghesia dei commerci che aveva sete di geografia e che, a partire dal XVIII secolo, avrebbe cominciato a pensare che il suo insegnamento fosse utile, per non dire necessario, per formare le menti dei suoi giovani rampolli.

Semplificando un po' credo si possa dire che la geografia sopravviva oggi nelle nostre scuole, quasi per forza d'inerzia, a causa della spinta avuta allora, rinvigorita poi dal colonialismo ottocentesco. Qualcuno potrebbe pensare che oggi la globalizzazione del pianeta e delle nostre stesse vite possa offrire nuovi validi motivi per rafforzare l'insegnamento della disciplina, ma qui le cose sono più complicate e richiedono di nuovo un passo indietro.

Ci spostiamo a Sparta e ad Atene, dove 2500 anni fa si recò Aristagora, tiranno di Mileto, per convincere il governo delle due città a prendere le armi contro i Persiani. Erodoto racconta {Le Storie, V,49) che "mentre parlava indicava i vari paesi sulla raffigurazione della Terra incisa sulla tavola che portava con sé". In sintesi diceva: voi Ateniesi e Spartani credete di potervene stare tranquilli da questa parte dell'Egeo, ma se conosceste la geografia,.capireste che Dario non minaccia solo noi, greci dell'Asia Minore. E infatti la storia gli diede ragione.

Cinque secoli dopo, Strabone nelle prime pagine della sua Geografìa in 17 libri scriveva: "...tutta la geografia si rivolge interamente all'esercizio del potere. E' più agevole impadronirsi di un territorio quando se ne conoscano già l'estensione, la posizione, le caratteristiche naturali e climatiche."(I, 16). Dunque, se Orazio poteva lodare la tranquillità domestica era perché Cesare Augusto - e prima di lui Giulio Cesare, Scipione e vari altri - la geografìa l'avevano studiata, imparata e messa in pratica. Ma in fondo allora bastava che la sapessero loro, anzi era meglio che questo sapere strategico rimanesse circoscritto a chi, come diceva appunto Strabone, esercita il potere. Oggi le cose non sono molto cambiate. Ricordo che in un congresso intemazionale un collega geografo americano a cui avevo chiesto di che cosa si occupava, mi rispose che non poteva dirmelo, perché lavorava al Pentagono. E molti ricorderanno il saggio di Yves Lacoste (1976) intitolato appunto "La geografia serve a fare la guerra". Secondo Lacoste ci sono tre tipi di geografia: una strategica, riservata agli stati maggiori degli eserciti, della politica e delle multinazionali, una "dei professori" destinata a descrivere il mondo in modo istruttivo e rassicurante e una "geografia-spettacolo" dei media e dei promotori turistici.

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L’ insegnamento di “storia e geografia” nei licei riordinati: quale progetto culturale ?

di Silvia Rita Viola

Questo contributo verte sul profilo culturale dell’ aggregato disciplinare “storia e geografia” introdotto nei bienni degli indirizzi liceali2, attraverso l’ analisi della normativa corrente, con particolare riferimento alle Indicazioni Nazionali (IN)3. 

Rileviamo innanzitutto come l’ aggregato disciplinare concorra alla composizione dell’ area degli insegnamenti comuni a tutti gli indirizzi liceali, ed ancora più pregnantemente sia collocato all’ interno dei bienni dell’ obbligo – o, ultimamente, del “diritto-dovere” – scolastico. Possiamo quindi inferire come il legislatore abbia inteso affidare anche ad esso la formazione di conoscenze, abilità e competenze – disciplinari e trasversali – ritenute essenziali nel profilo culturale e cognitivo dei futuri uomini e donne, cittadini e lavoratori4.

Tuttavia, l’ insegnamento merita a nostro avviso attenzione per la novità culturale di cui è portatore più che per le finalità formative di cui è portatore: esso si configura come una delle novità culturali più rilevanti introdotte dal riordino della scuola secondaria di secondo grado5. 

L’ insegnamento offre infatti un contenitore che permetta – almeno potenzialmente – il superamento della cornice gentiliana6, modificata da vari tentativi di riforma ma mai completamente superata e abbandonata7, per l’ insegnamento delle due discipline.

Molto schematicamente, si possono identificare quali caratteristiche portanti della cornice gentiliana:

1) per la storia: l’ ancillarità rispetto alle lettere ed alla filosofia; l’ attenzione alla dimensione militare o politico-diplomatica (“historie-bataille”, “histoire événementielle”) a discapito della storia materiale o culturale; la preminenza di una formazione manualistica sia per i docenti che per gli allievi (con scarsa o nulla esperienza di “ricerca”); la preminenza di forme didattiche cronachistiche ed imperniate sulla successione cronologica degli eventi;

2) per la geografia: la subordinazione e marginalità rispetto alle lettere; un approccio fondato sulla progressione delle scale (regionale amministrativa, nazionale, continentale) che trascura altri criteri di regionalizzazione; l’ attenzione alla dimensione fisica e politica a discapito delle altre dimensioni geografiche (con la parziale eccezione dell’ insegnamento – non liceale - di geografia economica) e l’ assenza di elementi di epistemologia della disciplina; la preminenza di forme didattiche analitiche, dovute anche alla scarsa attenzione alle abilità e competenze cartografiche (anche solo di fruizione cartografica);

3) per entrambe, la separazione dei rispettivi ambiti disciplinari, che pure contribuiscono con pari dignità alla comprensione del continuum spazio-temporale in cui accadono eventi ambientali, materiali, sociali e culturali.

L’ aggregato disciplinare “storia e geografia” si può comunque configurare più come rottura rispetto al passato che come continuità.

La declaratoria delle competenze di “storia e geografia” contenuta nelle IN sembrano infatti suggerire, attraverso la terminologia utilizzata8 e la presenza di obiettivi transdisciplinari incrociati (obiettivi “geografici” fra le competenze di storia e “storici” fra le competenze di geografia9), il riferimento ad un orizzonte epistemologico comprendente la lezione delle Annales, la ridefinizione degli ambiti discorsivi e del lessico geografici operati nel Novecento – in particolare, nell’ ambito della geografia umana e dell’ epistemologia della disciplina -, gli apporti di natura metodologica e la ridefinizione tematica provenienti dagli Studies.

Caratteristiche essenziali di questa ridefinizione possono a nostro avviso essere individuate rispettivamente:

1) per la storia: nell’ abbandono della rigida successione cronologica a favore della “decomposition du temps” (Braudel); nell’ abbandono della storia militare, politica e diplomatica a favore dell’ “inconsapevole della storia” (Quazza) e della storia materiale; 

2) per la geografia: nell’ abbandono della gerarchia delle scale (dal micro al macro); nel superamento dell’ approccio amministrativo o politico come criterio prevalente, quando non esclusivo, di regionalizzazione; nell’ apertura al “glocale” ed alla sincronicità come coordinate spazio-temporali cardine;

3) per entrambe, l’ avvicinamento dell’ insegnamento e dei saperi scolastici alle diverse pratiche della ricerca, soprattutto dal punto di vista metodologico ed epistemologico.

Ma questo ambizioso disegno comprende in sé un aumento – per quantità, ma soprattutto per qualità – della complessità dei temi e della didattica. 

Uno sguardo anche rapido ai profili orari ed agli obiettivi di apprendimento mostra invece una diminuzione oraria del tempo-scuola dedicato alle discipline e un minimalismo dei contenuti a fronte di un ampliamento – nello spazio, nel tempo e nella complessità – dei temi10. 

Non si tratta tuttavia solamente di una questione quantitativa, che pure è importante: la normativa mostra scelte di fondo e di carattere culturale non sempre comprensibili e chiare. 

Negli stessi licei in cui è introdotto l’ aggregato disciplinare “storia e geografia” si rileva infatti l’ assenza della geografia dai quadri orario ordinamentali dei trienni11 pur in presenza di obiettivi transdisciplinari e pur costituendo il quadro storico dei trienni il terreno più fertile in cui la costruzione dell’ ambito storico-geografico si è esercitato nella ricerca.

Ampliando l’ orizzonte di analisi ai segmenti tecnici e professionali, non si può non rilevare innanzituttto la sparizione della geografia dai bienni dell’ obbligo scolastico (o del “diritto-dovere”) nei segmenti tecnico e professionale, con l’ unica eccezione dell’ indirizzo tecnico amministrativo, in cui essa è isolata e non costituisce aggregato disciplinare12. Per di più, essa è soppressa nonostante ne venga ribadita l’ importanza in quanto disciplina-ponte fra i saperi scientifici ed umanistici13.

Infine, merita a nostro avviso attenzione la sparizione – da ogni segmento di istruzione – della geografia economica14, che pure potrebbe essere individuata come ambito privilegiato dell’ asse spaziale di una storia diversa dall’ histoire événementielle e dall’ histoire-bataille. 

In sintesi, nei licei ad un aumento di complessità del disegno corrisponde una diminuzione – talvolta anche drastica – delle condizioni ed opportunità materiali e non materiali di realizzazione nel contesto scolastico attuale; volgendo tuttavia lo sguardo agli istituti tecnici e professionali, il  disegno culturale diviene piuttosto sfumato quando non nebbioso. Come può infatti un sapere contemporaneamente concorrere e non concorrere – a seconda del segmento di istruzione – alle competenze e capacità metodologicamente ed epistemologicamente essenziali ed indispensabili? Per di più, come può accadere tutto ciò in un biennio dell’ obbligo (o del “diritto-dovere”)? E, laddove esso sopravvive, quale deve essere la sua fisionomia15? E in che modo esso può concorrere alla formazione delle competenze di cittadinanza16? E soprattutto, come realizzarlo materialmente nella scuola?

A tutto ciò infatti si aggiunge l’ assenza di qualunque sperimentazione didattica, di qualunque piano di formazione dei docenti in servizio – ed il rischio dell’ assenza di qualunque disegno formativo del profilo dei docenti di scuola secondaria in formazione nei corsi di tirocinio di prossima attivazione17, con tutto ciò che ne consegue in termini di presenza (o assenza) di rinnovamento delle pratiche didattiche e di apprendimento.

Questo contributo cerca quindi di individuare quali possibili profili culturali possa avere – sic stantibus rebus - questo insegnamento-contenitore nel contesto scolastico, coerentemente con le indicazioni normative, enucleando di ciascuno i punti di forza e di debolezza, così come la coerenza - interna ed esterna - e rispetto al panorama epistemologico offerto dalla ricerca disciplinare e dalle rispettive didattiche speciali. In quanto contenitore, infatti, l’ insegnamento può contenere oggetti diversi da un punto di vista qualitativo: contenuti, argomenti, materie, nozioni, conoscenze, competenze. Ma può anche contenere un disegno pressoché inedito per la scuola secondaria italiana – l’ ambito storico-geografico – che è compito di tutti – dal legislatore ai docenti - provare a portare alla luce, affinché non sia un’ occasione (l’ ennesima) sprecata.

 

Aprile 2012

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